Prima che Abramo fosse Io sono

Prima che Abramo fosse Io sono

 

 

 

OMELIA – 6 aprile 2017

LETTURE: Gen 17,3-9; Sal 104; Gv 8,51-59

 

Gesù riprende la tematica dell'immortalità derivante dall'osservanza della sua parola. In 5,24 aveva assicurato il passaggio dalla morte alla vita per chi ascolta la sua parola, cioè crede nella sua rivelazione e vive secondo essa. Cristo è la risurrezione e la vita, perciò chi crede in lui, anche se sperimenterà la morte temporale, eviterà la morte eterna (cf. Gv 11,25-26).

Gesù fa dipendere la vita eterna e l'immortalità dall'ascolto della sua parola, dall'adesione esistenziale e pratica al suo messaggio. In antitesi con il diavolo che ingannò i nostri progenitori con la sua parola falsa (cf. Gen 2,17; 3,2ss) e portò nel mondo la morte, Gesù, con la sua parola divina, è fonte di vita e di immortalità.

La reazione dei giudei è scomposta. L'affermazione di Gesù è veramente inaudita per un semplice uomo, perché anche i personaggi più grandi della storia della salvezza sono morti. Se Gesù non fosse il Figlio di Dio, la sua pretesa di donare l'immortalità sarebbe assurda. La risposta di Gesù fa vedere la sua grandezza eccezionale.

L'affermazione dei giudei che ritengono Dio loro padre è falsa. Essi ignorano del tutto Dio perché non osservano la sua parola. La conoscenza di Dio infatti non si riduce alla sfera speculativa, ma si acquista e si dimostra osservando i suoi comandamenti. La conoscenza vera di Dio e del suo Figlio si riduce all'amore concreto e operativo.

Alla domanda dei giudei: "Sei tu forse più grande del nostro padre Abramo?", Gesù risponde che il padre del popolo ebraico era completamente orientato verso il tempo del Messia e visse in funzione di lui. La nascita del suo figlio Isacco fu motivo di gioia (cf. Gen 18,1-15; 21,1-7) perché in lui si realizzavano le promesse messianiche. All'annuncio di questo lieto evento il patriarca rise (cf. Gen 17,17), ossia si rallegrò e gioì, perché nella nascita di suo figlio previde la discendenza dalla quale sarebbe nato il Cristo. Abramo vide il giorno di Gesù, come Isaia vide la sua gloria (cf. Gv 12,41) e Mosè scrisse di lui (cf. Gv 5,46): tutto l'Antico Testamento è in funzione di Gesù.

"Gli dissero allora i giudei: 'Non hai ancora quarant'anni e hai visto Abramo?'". Questo intervento finale dei giudei prepara la solenne proclamazione della divinità di Gesù. Notiamo che essi deformano e capovolgono l'affermazione di Gesù. Egli ha detto che Abramo vide il suo giorno. Essi rovesciano il soggetto e l'oggetto e fanno dire a Gesù di aver visto Abramo. Per gli increduli giudei è inconcepibile che Gesù sia oggetto della contemplazione di Abramo, tanto sono lontani dal comprendere la vera identità del Figlio di Dio.

«Proprio l'appello che i farisei fanno della loro appartenenza ad Abramo, diventa un tranello per loro. Non sono figli di Abramo, perché non compiono l'opera di Abramo, cioè non vivono di fede. Tutta la vita di Abramo è una prova di fede: come "forestiero" cammina sostenuto solo da una parola di Dio che gli promette una terra e una discendenza (cf. Gen 17,8). Tutta l'esistenza di Abramo è al futuro, tanto che il suo sguardo si abitua a vedere oltre la notte della storia, a vedere il compimento: "Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e fu pieno di gioia" (Gv 8, 56). Nella fede, Abramo si è pienamente rallegrato perché già contemplava in anticipo non solo le promesse, ma la salvezza stessa di cui Isacco era la figura. Il compimento è misteriosamente custodito negli inizi. Ma solo la fede può scorgerne tutta la forza. Ed è proprio la fede che manca ai farisei. La loro incredulità rende il loro cuore simile a quelle pietre che prendono per gettarle contro Gesù. Non c'è rifiuto più radicale! E questo non ci può lasciare estranei» (Messa e Preghiera Quotidiana, aprile 2017, EDB, 73-74).

"In verità in verità vi dico: prima che Abramo fosse, Io sono". La risposta di Gesù è il vertice di tutto il dialogo drammatico del capitolo 8. Essa contiene la proclamazione esplicita della divinità di Gesù. Contrapponendosi al più grande patriarca dell'Antico Testamento, del quale la Scrittura descrive la vita e la morte, Gesù si presenta come il "Io sono", il Vivente, il vero Dio, Jahvè in persona.

La reazione dei giudei conferma il significato divino dell'espressione usata da Gesù. Per loro è un bestemmiatore, perché si è proclamato Dio e quindi merita la lapidazione come prescrive la legge di Mosè (cf. Lv 24,16). Questo nascondersi di Gesù ha un profondo significato teologico: è l'eclissi del Sole, che è il Logos incarnato, dinanzi all'incredulità dei suoi interlocutori.

Il capitolo 9 continuerà questo tema della luce di Cristo nell'episodio della guarigione del cieco.

Proseguiamo il nostro cammino quaresimale. Siamo stanchi di penitenze, di sacrifici? Siamo stanchi perchè l'accidia è più forte della virtù?

A una settimana dell'inizio del Triduo pasquale, domandiamoci: 1) il mio cammino quaresimale è stato coerente e solido?; 2) la parola di Gesù dimora veramente nel mio cuore  e nella mia vita?; 3) sono mosso dalla fede in Dio a esempio di Abramo? 4) Credo veramente in Gesù oppure mi assomiglio ai giudei che Lo criticavano e che successivamente lo condannarono a morte?

 

 

                                         P.Saturino da Costa Gomes, scj