La tenerezza di Dio

La tenerezza di Dio

 

Omelia:: 10 dicembre 2015

 

Letture: Is 41, 13-20; Sal.144; Mt 11, 11-15.

 

Prima lettura

Nel brano di Isaia, oggi, vediamo la tenerezza di Dio che si comporta come una madre, tenendo il figlio per mano e assicurandolo che le è vicina e quindi non deve temere. Certo Israele ha sofferto molto nell'esilio ma adesso il suo Redentore, il Santo di Israele risponderà a tutti i bisogni del suo popolo, trasformando l'afflizione in gioia, il deserto in un luogo di acqua sorgente e di prati in fiore in tutto il creato, incluso l’uomo, manifesterà la presenza di Dio; così tutto il creato lodi Lui, nella sua potenza e bontà. Tocca all'uomo riconoscere questo fatto e accettare la rivelazione divina nella propria storia. In questo modo, noi arriviamo a conoscere meglio anche noi stessi e il significato della nostra esistenza terrena. Non siamo visitatori ciechi che non conoscono la strada, ma persone amate, scelte da Dio a partecipare a quella seconda creazione che è realizzata dalla morte e risurrezione di Gesù, il Salvatore. Lui ci guida per la strada giusta, lui che è la via, la verità e la vita.

Papa Francesco commentando questo brano nell’Avvento del 2014 diceva:

«È proprio la vicinanza di Dio al suo popolo quello che fa la salvezza». Una «vicinanza che progredisce, progredisce, fino a prendere la nostra umanità». E «in questo brano — ha spiegato Francesco — c’è una cosa che forse ci farà un po’ sorridere, ma è bella». Infatti è talmente «tanta la vicinanza, che Dio si presenta qui come una mamma, come una mamma che dialoga con il suo bambino: una mamma quando canta la ninnananna al bambino e prende la voce del bambino e si fa piccola come il bambino e parla con il tono del bambino al punto di fare il ridicolo se uno non capisse cosa c’è lì di grande». Si legge infatti nella Scrittura: «Non temere, vermiciattolo di Giacobbe».

«Quante volte — ha proseguito il Pontefice — una mamma dice queste cose al bambino mentre lo carezza!». È lo stesso linguaggio che troviamo nella Scrittura: «Ecco, ti rendo come una trebbia acuminata, nuova... ti farò grande...!». E così dicendo la mamma «lo carezza, e lo fa più vicino a lei». Ma anche «Dio fa così: è la tenerezza di Dio» che «è tanto vicino a noi, che si esprime con questa tenerezza, la tenerezza di una mamma». E questo vale «anche quando il bambino non vuole la mamma e si allontana, piange». Così «Gesù sul monte, quanto vedeva Gerusalemme, ha pianto, perché il popolo si era allontanato». Ma «Dio si presenta con questo atteggiamento di mamma: la vicinanza» (da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLIV, n.283, Ven. 12/12/2014).

Questa tenerezza di Dio è sempre presente nel magistero di Papa Francesco sin dall’inizio del suo pontificato. Infatti nell’omelia dell’inaugurazione del suo ministero petrino come Vescovo di Roma, il 19 marzo 2013, affrmava: “E qui aggiungo, allora, un’ulteriore annotazione: il prendersi cura, il custodire chiede bontà, chiede di essere vissuto con tenerezza. Nei Vangeli, san Giuseppe appare come un uomo forte, coraggioso, lavoratore, ma nel suo animo emerge una grande tenerezza, che non è la virtù del debole, anzi, al contrario, denota fortezza d’animo e capacità di attenzione, di compassione, di vera apertura all’altro, capacità di amore. Non dobbiamo avere timore della bontà, della tenerezza!” (www.vatican.va).

E noi quale esperienza di Dio facciamo in questo Avvento, in questo tempo della storia personale e ecclesiale? Facciamo l’esperienza di essere amati da Dio?

 

Il Vangelo

“Da qui in avanti, infatti, fino al 17 dicembre, quando inizierà la seconda parte dell’Avvento la liturgia ci farà ascoltare passi evangelici nei quali compare Giovanni Battista. Il nostro sguardo è cosi invitato a fissarsi nella sua persona, sulla parola e i gesti con i quali ha preparato la via a Gesù.

Fino a oggi la liturgia della Parola è stata incentrata sulle grandi promesse di Dio nel Primo Testamento, per farcene contemplare il compimento in Gesù di Nazaret. Da oggi in avanti è come se questa voce molteplice del Primo Testamento convergesse tutta per unificarsi nella persona di Giovanni e nella sua parola. Infatti, afferma Gesù, “tutti i Profeti e la Legge hanno profetato fino a Giovanni. E, se volete comprendere, è lui quell’Elia che deve venire” (Mt 11,13). Elia, figura che simboleggia tutta la profezia di Israele, era atteso come il profeta il cui ritorno avrebbe annunciato la venuta imminente del Messia. Ora questa attesa si compie in Giovanni. In questo sta la sua grandezza: non nell’essere il profeta atteso, ma il profeta dell’Atteso” (Fr.Luca Fallica).

 

Gesù stesso proclama Giovanni come il più grande uomo mai esistito. Per la sua coerenza, per la sua forza interiore, per la sua radicalità, Giovanni è davvero il profeta per eccellenza. Eppure, specifica Gesù, anche il più piccolo dei discepoli è più grande di lui! Che responsabilità... Ma, aggiunge il Maestro, di Giovanni dobbiamo imitare due atteggiamenti: la sua forza interiore, la sua violenza intesa come volontà ferma, la sua capacità di rinuncia a ciò che distoglie dal Regno. E la sua capacità ad affrontare la violenza che sempre si scatena contro gli uomini di Dio, ieri e oggi. Vivere nella verità, alla luce del Vangelo, scatena sempre le ombre in e intorno a noi. Giovanni chiude la grande rivelazione che da Mosè, attraverso i Profeti, è arrivata fino a lui. Dopo Gesù, non c'è più bisogno di profezia, se non per capire e interpretare quanto egli, Gesù, ha detto di Dio. Se Gesù identifica il Battista con Elia, allora Gesù è il Messia che tutto Israele sta aspettando. E noi con lui.

Noi viviamo nella pienezza dell'era della salvezza. A volte forse le vicissitudini della vita ci portano a affrontare situazioni di umiliazione, di sofferenza, di lotta, perfino di sconfitta dinanzi al nemico dell'anima: il mondo incredulo e il demonio. Abbiamo però fiducia che la potenza del Signore e del suo Spirito è più forte di ogni nemico. Ci sarà la libertà per quanti confidano in Dio. Anzi ci si assicura che in mezzo a persecuzioni e contrasti, nemmeno un capello cadrà da nostro capo.

 

Oggi celebriamo la Giornata mondiale dei diritti umani e vogliamo alla luce della Parola di Dio difendere la persona umana nella sua dignità, creata da Dio, lottando contro tutte le forme di violenza e di esplorazione.

Il Magistero della Chiesa è ricco in documenti nella difesa dei diritti umani. Conosciamo l’esempio e l’apostolato di tanti cattolici e anche di organismi che fanno un pregevole apostolato in questo settore.

Ci insegna il Concilio Vaticano II nella Gaudium et Spes: «Tutto ciò che è contro la vita stessa, come ogni specie di omicidio, il genocidio, l'aborto, l'eutanasia e lo stesso suicidio volontario; tutto ciò che viola l'integrità della persona umana, come le mutilazioni, le torture inflitte al corpo e alla mente, gli sforzi per violentare l'intimo dello spirito; tutto ciò che offende la dignità umana, come le condizioni infraumane di vita, le incarcerazioni arbitrarie, le deportazioni, la schiavitù, la prostituzione, il mercato delle donne e dei giovani, o ancora le ignominiose condizioni di lavoro con le quali i lavoratori sono trattati come semplici strumenti di guadagno, e non come persone libere e responsabili; tutte queste cose, e altre simili, sono certamente vergognose e, mentre guastano la civiltà umana, inquinano coloro che così si comportano ancor più che non quelli che le subiscono; e ledono grandemente l'onore del Creatore» (Gaudium et Spes, n.27).

 

Siamo pure noi invitati ad annunciare con gioia e convinzione la dignità della persona umana nella nostra missione – da sacerdoti, consacrati e laici -, pregando per coloro che subiscono l’oppressione e l’indifferenza dei sistemi organizzati e anche delle singole persone.

E così sia.

 

  P.Saturino da Costa Gomes, scj